
Ti scrivo mentre la città dorme.
La luna è alta, immobile, come se mi stesse spiando li fuori dal mio giardino,
e la luce incerta della sera si è ormai fusa con il buio che entra.
Dal mio giardino vedo le ombre dei rami disegnarsi sul muro:
sembrano mani che cercano qualcosa,
forse te.
Se ti incontrassi ancora,
forse in un luogo dimenticato dal tempo,
non saprei da dove cominciare.
Ti sorriderei soltanto,
come il sole che saluta la luna,
sapendo che tra un attimo morirà
per lasciarla respirare.
Non ti direi che ti penso ogni notte.
Non ti direi che la tua assenza è come questa nebbia che avvolge la città:
fredda, silenziosa, ma presente in ogni respiro.
Ti lascerei credere che ho imparato a camminare
senza inseguire la tua ombra.
Ti ho amata come si ama una melodia che non si vuole rovinare:
senza mai interromperla,
lasciandola suonare fino all’ultima nota.
E tu eri quella nota che ancora risuona,
anche adesso,
tra il ticchettio dell’orologio e il fruscio delle tende.
Non voglio essere la catena che trattiene il vento.
L’amore, quello vero, è anche lasciare andare.
Custodire senza stringere.
A volte, tra la folla,
giuro di sentire il tuo nome come un sussurro dietro di me.
Mi volto,
e il cuore batte come se stessi per rivederti.
Ma non ci sei.
Ci sono solo lampioni stanchi e strade vuote,
e il vento che porta via i miei pensieri
come foglie secche.
Il cielo ricorda ancora il nostro teatro:
il tramonto color ambra,
la notte che ci guardava respirare,
e le stelle che applaudivano silenziose.
Se un giorno dovessi tornare
Con la luce argentea che ti illumina o il vento tra le mani
sappi che la porta è ancora socchiusa.
E il mio cuore…