
La notte avvolgeva tutto con il suo mantello di velluto blu. Era una di quelle notti che sembrano respirare, vivere, sussurrare segreti solo a chi è abbastanza silenzioso da ascoltarli. L’aria era immobile, densa di magia e ricordi sospesi. Le foglie degli alberi non tremavano, e il cielo era un’immensa tela punteggiata di stelle, come se l’universo si fosse fermato per assistere a qualcosa di importante.
Nel cuore di una città addormentata, sotto la luce incerta di un lampione, da un cancello di una casa esce nascosta nella sua ombra una figura che prende forma e mi raggiunge. Insieme come due ombre leggere ci incamminavamo lungo la strada, fianco a fianco, senza dire una parola, ma con ogni passo più vicini, più presenti. Il silenzio tra di noi non era vuoto, era denso come il profumo dei fiori notturni, pieno di cose non dette, di ricordi, di attese.
La debole luce del lampione filtrava in quella oscurità, proiettando strane ombre sul selciato. Sembravano fantasmi, o forse riflessi di emozioni passate. Era una notte che faceva riaffiorare tutto ciò che si credeva dimenticato.
Lei si fermò sotto un lampione e la sua luce tremula, il viso rivolto al cielo. I suoi occhi brillavano come due stelle stanche ma ancora capaci di sperare. Indossava un indumento leggero, troppo leggero per il fresco della notte, ma non sembrava farci caso. Io, un passo indietro, la osservavo come si guarda un miracolo che si teme di rovinare anche solo respirando troppo forte.
Lei si voltò, come chi non sa proprio cosa fare con ancora qualche emozione, si avvicinò a me e sorrise appena, un sorriso triste, di quelli che sanno che la felicità vera è fragile come un sogno al mattino. La luce della sera gettava dei pensieri reconditi ella sussurrò, quasi recitando un pensiero che non era suo, o forse lo era da sempre.
Mi avvicinai poggiando una mano sulla spalla di lei, sussurrai a bassa voce “Non so se sorridere o urlare.”
“È lo stesso per me,” rispose. I nostri sguardi si incrociarono, e in quel momento la notte si fece più silenziosa, come se il mondo intero trattenesse il fiato.
Alle nostre spalle, il buio sembrava fondersi con la luce fioca della sera, e ogni cosa si faceva incerta, confusa, come un ricordo troppo a lungo dimenticato. Erano le nostre anime che si ritrovavano senza sapere se erano pronte, se lo erano mai state.
Poi, sollevai una mano e la portai al suo viso. La luce del lampione disegnò un riflesso sul suo volto, e per un attimo parve sorridere davvero, come se quella carezza avesse acceso qualcosa dentro.
“Forse è stato tutto un gioco,” disse lei piano, “ma non riesco a ricordare le regole.”
“Neanche io’… ma forse possiamo riscriverle.” Le risposi.
Il vento si alzò, lieve, portando con sé il suono della sua voce melodica che non si distingueva chiaramente, erano solo brandelli, frasi sparse come frammenti di sogni e melodie dimenticate. Ma erano lì, intrecciati al tempo, alla notte, ai nostri cuori.
E così rimanemmo, vicini, nel cuore della notte. Due esseri persi e trovati, immersi in una luce che non era né piena né buia, ma qualcosa di mezzo. Una luce che accendeva silenzi e li trasformava in poesia.
Nessuno di noi sapeva cosa sarebbe accaduto dopo. Ma in quel preciso istante, con le ombre danzanti e le stelle immobili testimoni, esisteva solo una verità: che a volte, la notte sa parlare d’amore meglio del giorno.
Ho il cuore che ogni minuto mi chiede quando torna...