
Il caffè nero era amaro come i ricordi che mi perseguitavano, eppure continuavo a berlo, sperando forse che la sua asprezza potesse in qualche modo coprire quella più profonda che sentivo dentro. Questa città, con le sue mattine pigre e l’aria salmastra che si mescola al profumo dei pini marittimi, non era più la stessa. Ogni vicolo, ogni onda che si infrangeva sulla battigia, ogni raggio di sole che filtrava tra le persiane socchiuse, tutto mi riportava a lei. Eravamo qui, ma non ci saremmo mai più incontrati.
Era una consapevolezza brutale, un’àncora pesante che mi tirava giù, anche se la mia mente cercava disperatamente di risalire. La logica diceva che era finita, che la distanza, il tempo e scelte irrevocabili ci avevano separati per sempre. Eppure, lei era lì, con me, più presente che mai. La vedevo ovunque.
Un giorno, passeggiando sul lungomare, una ragazza con un cappello di paglia si voltò. Per un istante, il mio cuore fece un balzo, ingannato da quella silhouette familiare, dalla curva del suo collo, dal modo in cui i capelli le sfuggivano dal cappello. Non era lei, ovviamente. Non poteva esserlo. Ma il miraggio era bastato a risvegliare la fitta.
Un altro giorno, in un piccolo caffè, sentii una risata provenire da un tavolo vicino. Una risata così distintiva, così piena di gioia pura, che per un attimo fui convinto fosse la sua. Mi voltai di scatto, con il respiro sospeso, solo per incontrare lo sguardo sorridente di una sconosciuta. Eppure, in quel suono, la sua essenza era stata incredibilmente palpabile.
Era come se il mondo intero fosse diventato uno specchio fratturato che rifletteva solo la sua immagine, distorta ma onnipresente. Non era una questione di mancanza fisica, di desiderio di toccare o sentire la sua presenza. Era qualcosa di più profondo, una risonanza filosofica. Lei non era semplicemente un ricordo, ma una lente attraverso cui vedevo la vita. Ogni bellezza, ogni malinconia, ogni sfumatura di colore sembrava amplificata dalla sua assenza, o forse, dalla sua eterna presenza nel mio intimo.
Mi chiesi se fosse una maledizione o una benedizione, questa impossibilità di cancellarla. Era forse la dimostrazione che l’amore, quello vero, trascende la fisicità e il tempo? Che le anime, una volta intrecciate, rimangono tali, indipendentemente dalle coordinate spaziali e temporali? Mi piaceva pensare di sì. Mi piaceva credere che in un universo così vasto e misterioso, certi legami non si spezzassero mai del tutto, ma si trasformassero, diventando un’eco persistente, un profumo nell’aria, un’ombra fugace che ti accompagna senza mai raggiungerti completamente.
E così, continuavo a camminare per la città, sapendo che non l’avrei mai più vista. Ma ogni volto simile, ogni risata lontana, ogni tramonto sul mare che sembrava richiamare il suo sguardo, era una conferma silenziosa. Lei non era scomparsa. Si era semplicemente dissolta nell’ordito del mondo, diventando parte di ogni cosa bella e irraggiungibile che mi circondava. E in quel paradosso, in quella sua onnipresenza attraverso la sua assenza, risiedeva un amore strano, malinconico, ma incredibilmente reale. Un amore che, forse, era destinato a vivere per sempre, come un’onda che si infrange e si ritira, ma che lascia perennemente la sua impronta sulla sabbia.