
Quel giorno Il ronzio dell’ago rimase impresso dentro dentro come un eco.
Non un suono qualunque, era come un ritmo di tamburi su una decisione che prendeva corpo, un battito che scandiva la mia volontà.
Ogni colpo era una domanda muta che la pelle mi rivolgeva: “Sei sicuro?” E io, senza esitazione, dentro di me rispondevo sempre: “Sì senza riserva.”
Il dolore era reale, ma non insopportabile. Anzi, sembrava il prezzo giusto da pagare per un gesto che non era superficiale, non nasceva dalla moda o dall’impulso, ma dalla profondità.
Ogni puntura era come un pizzicotto che bruciava, eppure in quello stesso bruciore avvertivo vita, presenza, significato. La mia pelle si apriva per accogliere, come se stesse facendo spazio a qualcosa che già viveva dentro e che ora pretendeva di mostrarsi al mondo.
Quando la prima lettera ha cominciato a comparire, ho trattenuto il respiro, non era solo un tratto nero sulla carne, era memoria, era radice, con ogni curva, con ogni linea, riaffioravano immagini che nessun album fotografico potrebbe contenere: un sorriso che mi aveva guarito, parole che mi avevano sorretto quando ero fragile, silenzi che avevano parlato più di mille frasi.
Non stavo tatuando soltanto un nome: stavo tatuando un’intera storia, fatta di frammenti invisibili e incancellabili.
Più l’ago proseguiva, più sentivo che non si trattava di un semplice tatuaggio. Il mio non era un ornamento, nemmeno una moda ma era (e tutt’ora è) un atto di appartenenza, la dichiarazione silenziosa che quella persona non è mai stata un passaggio, ma una parte di me, il suo nome non era un marchio, ma una chiave: la chiave che apre la porta della mia anima sigillando un contratto come si fa con una divinità.
Terminato il tatuaggio, quando lo specchio mi ha restituito l’immagine del mio corpo trasformato, ho provato qualcosa che non avevo previsto. Non solo soddisfazione, non solo emozione. Ho provato riconoscimento. Come se finalmente la mia pelle riflettesse ciò che il mio cuore sapeva da tempo.
Da quel giorno porto quel nome addosso e dentro. Non c’è distanza, non c’è tempo, non c’è silenzio che possa scalfirlo, è diventato un tratto distintivo, non solo del mio corpo, ma della mia stessa identità, non è un tatuaggio qualunque ma è la dimostrazione che l’appartenenza esiste, che certe presenze non si cancellano nemmeno volendo, ma so anche questo.. se un giorno la vita mi costringesse a coprirlo, se un domani ci fosse una ragione per nasconderlo sotto un altro disegno, dentro di me non cambierebbe nulla, perché coprire un tatuaggio non significa cancellarlo, le lettere possono svanire agli occhi degli altri, ma dentro di me resterebbero intatte, sono incise nel cuore, il prezzo pagato per il contratto prevedeva il mio cuore.
Fondamentalmente sarebbe come stendere un velo sottile su una fiamma che continua comunque a bruciare.
Il suo nome è diventato parte della mia pelle, ma soprattutto è parte della mia anima, non ha bisogno di essere letto per esistere, Non ha bisogno di mostrarsi per essere reale.
È lì, invisibile o visibile, e mi ricorda ogni giorno chi sono e a chi appartengo.
Non ho tatuato un nome ma un legame che porta con se la certezza che Lei non è solo nei ricordi, ma la porto addosso addosso, dentro, e la porteò per sempre.