
La città, ieri notte, sembrava un teatro vuoto:
i vicoli hanno chiuso il sipario, i lampioni sono attori stanchi che recitano per nessuno.
L’aria odora di niente, svanita anche il lieve sapore della malinconia che oramai non mi appartiene più.
Passai accanto a finestre chiuse, dietro cui forse qualcuno sognava, o forse ascoltava il battito lento delle ore. Ogni ombra ha la sua storia: una donna appoggiata dentro a un giardino che fumava, un gatto che seguiva col muso il mio passare.
Camminavo senza meta, cercando di non cercare, ma ogni pietra della strada conosceva il mio nome. Mi parlavano i portoni, le insegne mute dei negozi, il vento che scivolava tra le persiane. Sento dentro un dialogo che non finisce mai, con volti che non ci sono più, con parole che non ho detto ma che pesano come valigie piene.
C’era una panchina, laggiù, sotto un albero scheletrico. Sopra di me un cielo spettinato dalle nuvole, e una luna che sembrava una moneta dimenticata in tasca.
Se chiudo gli occhi, posso ancora sentire le sue risate, ma diventano un’altra cosa: un suono che non consola, che ricorda e basta.
Nella notte la città non chiedeva nulla, non prometteva nulla.
Ed io, nel silenzio, imparavo che certe notti non passano: restano incise come graffi su un disco, a girare e rigirare, finché non capisci che quella malinconia è, in fondo, il un modo per lasciare restare vivo un ricordo finchè non si consumerà la puntina e a quel punto non il disco non girerà più. Era una questione di attesa prima che si verificasse l’evento.
I pensieri si facevano sempre più rumorosi, dubbi diventati certezza, niente da rimproverare a nessuno, la vita d’altronde, ogni persona la vive come crede, le scelte giuste o sbagliate che possano essere, sono pur sempre scelte a cui non si da un nome,
Specchi di notti insonni e di lacrime trattenute, mi cercarono. “Siamo stati bravi” avrei voluto dirle”, ma le parole mi morivano in gola, lasciando solo un sapore di cenere e di rammarico.
Ogni parola sarebbe stato un silenzio urlato, ogni gesto una ferita aperta. Mi fermai davanti a una vetrina illuminata, che rifletteva la mia figura. Un uomo , con gli occhi pieni di un passato così intenso da far male, e con le tasche vuote di un futuro che non ci sarebbe mai stato, capito quando oramai era troppo tardi. Le strade erano scure, così come il mio destino, e i miei passi si perdevano incamminandosi nel labirinto della mia mente, volto a perdere questo mio me stesso.
Una porta rimane socchiusa per l’ingresso del labirinto, il cuore rimesso li dietro, nella sua teca.